Vincitore del Man Booker International Prize, il romanzo della scrittrice omanita Jokha Alharthi recentemente pubblicato da Bompiani, ci restituisce il racconto caleidoscopico dell’Oman di oggi. Ne parlo con Beatrice Masini, direttrice di Divisione Bompiani, che ne ha curato l’edizione italiana.
Si dice spesso che la lettura ci consente di scoprire mondi lontani, permettendoci di evadere dai nostri confini pur rimanendo tra le mura domestiche. Corpi celesti, il romanzo di Jokha Alharthi vincitore del Man Booker International Prize e recentemente pubblicato da Bompiani, ne è un esempio ben riuscito. Ambientato nel piccolo paese di ‘Awafi, il libro presenta un affresco lucido e onesto dell’Oman, attraverso le vite dei personaggi che ne popolano la storia.
Si tratta di un romanzo corale, in cui seguiamo le vicende di più famiglie, intrecciate tra loro da legami di parentela e di schiavitù (l’Oman è stato l’ultimo Paese al mondo ad abolirla nel 1970). Si susseguono le generazioni, in un montaggio dei capitoli che comporta continui andirivieni nel tempo e che ben rappresenta il tentativo dei protagonisti di trovare un equilibrio tra la tradizione e la contemporaneità.
Un caleidoscopio di vite
Fin dalle prime pagine emerge la prospettiva femminile: un gineceo in cui le donne da un lato subiscono le regole del patriarcato, dall’altro si affrancano attraverso il matrimonio per collocarsi nella società e iniziare una vita più automa:
Sua madre voleva farle capire il valore della libertà di cui avrebbe goduto dopo sposata? Eh sì, sarebbe diventata una donna, avrebbe avuto il diritto di uscire, di frequentare le signore più grandi, di partecipare ai matrimoni di parenti e conoscenti, di presenziare ai funerali.
Mayya è la maggiore di tre sorelle, la prima ad accettare a malincuore un matrimonio combinato. Avrà tre figli e una felicità apparente. Asma’, la secondogenita, appassionata di letteratura e romantica sognatrice, si sposa per senso del dovere, mentre Khawla, la più piccola e la più bella, rifiuta tutti i pretendenti per attendere il suo amore, un cugino emigrato in Canada, a cui è stata promessa anni prima.
Il racconto delle loro vicende si intesse con quello degli altri membri della piccola comunità omanita, in un caleidoscopio di colori, sapori ed emozioni che disegna anche la storia dell’Oman dell’ultimo secolo.
In questo intreccio di avvenimenti, risuona la voce di ‘Abdallah, il marito di Mayya, che riflettendo sulla propria vita durante un volo aereo, si racconta in prima persona restituendo al lettore una prospettiva maschile per nulla scontata e lontana dai stereotipi.
Con un linguaggio pulito e sincero, Jokha Alharthi sembra voler assecondare lo sforzo del lettore occidentale che si accosta per la prima volta alla società omanita, per preservare la complessità e il fascino di questa terra da Mille e una notte.
PAROLA A BEATRICE MASINI
Corpi celesti è stato scelto come libro del mese per l’appuntamento del Bompiani Book Club, una comunità di lettori e lettrici che si riunisce online ogni mese per scoprire i capolavori delle letteratura straniera sotto la guida di Beatrice Masini, direttrice di Divisione Bompiani. A lei, in quanto editor che ha scelto e curato la pubblicazione del romanzo in Italia, ho rivolto alcune domande sul libro.
«Qamar gli aveva fatto prendere coscienza del proprio corpo come se prima di lei non lo avesse mai conosciuto davvero, gli aveva fatto scoprire gli abissi reconditi che racchiudeva dentro di sé».
Questo è innanzitutto un grande romanzo d’amore: l’amore sembra essere il primo motore immobile, ciò che spinge i personaggi gli uni verso gli altri, che permette loro di cambiare ed emanciparsi, o soccombere alla sua assenza; è la spinta alla conoscenza e alla comprensione del mondo e di se stessi.
Beatrice Masini – È un amore molto libero e insieme molto prigioniero: io ho trovato toccanti le figure maschili nella loro spasmodica ricerca di conferma attraverso l’amore e la passione, una risposta che spesso non ottengono. La letteratura ci aiuta a smontare gli stereotipi, e qui abbiamo dei ritratti di uomini che contraddicono l’idea convenzionale del legame uomo-donna in Medio Oriente, pur nella cornice di abitudini molto radicate. Bello, no?
«I fatti della vita, da cui cercavano di tenerla alla larga in ottemperanza alle tradizioni, le erano già ben noti grazie ai libri»
Il romanzo è costellato di citazioni e riferimenti della poesia araba. Così come l’amore, anche la letteratura è considerata uno strumento fondamentale per l’emancipazione dei personaggi. La biblioteca è descritta come uno scrigno di tesori preziosi a cui le donne, però, non sempre possono accedere.
B.M. – Più che altro è la loro idea di biblioteca che è limitata a quello che conoscono o hanno a portata di mano. Ma è bello che ci si affidi ai libri come depositari di fatti della vita. Ed è bello assaggiare attraverso il gioco delle citazioni alcuni testi fondamentali, molto alti, che ci danno il sentore della profondità di un mondo.
Il cibo scandisce i momenti della storia: il matrimonio, le nascite, gli incontri d’affari, le visite dei parenti. Più di ogni altro elemento, ci restituisce i colori della cultura omanita e il ritmo delle giornate.
B.M. – Alharti è molto abile nel costellare (di tutti i verbi) la sua storia di riti e abitudini, inseriti come tasselli nei punti giusti, così da non risultare didascalici ma preziosi: noi seguiamo i fili delle vicende dei protagonisti e insieme, senza rendercene conto, apprendiamo tante cose. Capita spesso che un romanzo sia la via d’ingresso più veloce per mondi che conosciamo poco.
«Con il tempo e l’esperienza, era diventata più saggia e sensibile al contesto sociale. Aveva imparato ad adattarsi. E l’aveva amato di un amore profondo, che non dava nulla per scontato e procedeva lento ma costante. Però non voleva essere solo un suo satellite, di questo era certa, lei avrebbe avuto un’orbita tutta sua.»
Nel raccontare il suo Paese, l’autrice mette in evidenza il conflitto tra la tradizione e la spinta verso il cambiamento, l’emancipazione dal passato. In questo gioco di continui rimandi tra presente e futuro, Asma’ sembra essere colei che trova un equilibrio felice: non rinnega le proprie radici ma all’interno di esse trova la propria affermazione, anche come donna: un corpo celeste con la propria orbita.
B.M. – Asma’ fa la scelta più tradizionale, la abbraccia con una quieta gioia che all’inizio ci risulta incomprensibile, eppure riesce a trovare un’intesa col marito che ha qualcosa di prodigioso. Fuori dagli schemi, fuori dalle convenzioni, fuori dalle aspirazioni, alla fine quello che conta è l’incontro tra due esseri umani, e nel suo caso è l’incontro giusto per tutti e due. I corpi celesti erano ben allineati, insomma.
«Dipingo per evadere dalla vita rinchiusa nei confini fissati dalle fantasie di mio padre e per rimodellarla seguendo la mia immaginazione.»
Il personaggio di ‘Abdallah, l’unico a parlare di sé in prima persona, evidenzia come la rigidità di una società patriarcale sia castrante innanzitutto per gli uomini. A loro non è concessa la tenerezza, devono sottostare alla durezza del potere paterno che li vuole a propria immagine e somiglianza. Solo Khalid riesce a liberarsi dal giogo paterno, grazie all’arte che gli dà la “libertà di inventare”.
B.M. – Gli uomini sono la vera sorpresa di questo romanzo, proprio perché li vediamo in cerca di tenerezza, di conferme (l’amatodiato padre di ‘Abdallah, sempre lì, anche quando non c’è, anche quando non c’è più), d’amore. Quello che sembra un accessorio in un mondo di matrimoni combinati diventa invece un fine insostituibile, e non riuscire ad averlo è il vero dolore.
Un’ultima considerazione sulla bellissima copertina. Si differenzia da quelle utilizzate nelle altre edizioni straniere. Come l’avete scelta?
B.M. – Come succede spesso, considerando una grande quantità di alternative anche molto diverse tra loro. Di quella che abbiamo scelto alla fine tra le proposte di Francesca Zucchi ci ha colpito il gioco delle trame e dei colori. Ma con le copertine è strano, alla fine guida la pancia, e qualche volta ci si sbaglia, ma lo si fa sempre con le migliori intenzioni. Spesso vediamo libri straordinari andare nel mondo malvestiti: alla fine non fa alcuna differenza. E una copertina bellissima non fa miracoli se un libro è banale. Qualche volta invece l’intesa è perfetta, e non sai nemmeno spiegare perché.
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