Nel suo nuovo libro rivolto ai più piccoli, Michele D’Ignazio racconta con leggerezza e ironia la storia della sua infanzia, segnata alla nascita da un segno particolare. Ne parlo con l’autore in una breve intervista.
Pacioso. Così si definisce Michele D’Ignazio ai piccoli lettori ne Il mio segno particolare, libro edito da Rizzoli che si presenta come un’autobiografia ma è molto di più. E in effetti, quando si incontra Michele per la prima volta – a me è capitato anni fa, in occasione dell’uscita del suo primo libro Storia di una matita – ne si coglie subito la vivace tranquillità, una sorta di calma curiosa con la quale attraversa il mondo.
La storia di Michele
Il mio piccolo corpo sembrava una cartina geografica. La pelle bianca era il mare, e il grande e irregolare neo un continente. E poi avevo tante, tantissime isole. Ero un mappamondo.
Il libro racconta la storia del bambino Michele, nato il 7 gennaio del 1984 con una grossa macchia scura che si estende su tutta la schiena e su buona parte del corpo. Sembra un mantellino, forse il piccolo Michele è destinato ad essere un supereroe. In realtà si tratta di un neo gigante, una particolarità che capita a una persona ogni 50.000. I medici che assistono al parto capiscono subito che il bimbo necessita di essere seguito da specialisti competenti che siano in grado di comprendere la situazione clinica e di intervenire. E così il piccolo Michele comincia la sua vita con la valigia in mano, pronto a viaggiare tra casa e ospedali. In questo suo peregrinare, lo seguiamo fino all’adolescenza. Ma chi pensa che questo sia un libro triste, si sbaglia di grosso.
Senza pesare al mondo
Planare sulle cose dall’alto, senza macigni sul cuore.
Tenendo bene a mente questo monito di Calvino, l’autore ci conduce con ironia e leggerezza alla scoperta dei propri ricordi di bambino. Tutto ciò che accade è accolto e interpretato con gli occhi benevoli di chi sa che a volte la natura compie degli scherzi che dobbiamo accettare. Non respinge la fatica e il dolore, la noia e la paura, ma approfitta di ogni istante per imparare qualcosa che non sa, per bilanciare la propria vivacità con la voglia di capire se stessi, gli altri e il mondo. Il piccolo Michele si diverte a immaginare e a smettere di “pesare” al mondo esterno, arrivando a sviluppare il suo vero superpotere: la capacità di raccontare e condividere con gli altri la valigia di storie che si porta dentro.
PAROLA ALL’AUTORE
«Per crescere un bambino ci vuole un villaggio».
Così recita un proverbio africano. E tu in effetti sei stato circondato da un’intera tribù di familiari e amici che ti hanno accompagnato nei primi anni di vita.
Michele D’Ignazio – A proposito di Africa, c’è una parola antica e bellissima a cui sono molto legato: ubuntu. Ha un significato profondo che racchiude un concetto: una persona è una persona attraverso la sua relazione con gli altri. È importante vivere una vita di condivisioni, in simbiosi con ciò che ci circonda. Nel libro racconto anche questo aspetto: l’aver avuto attorno una famiglia che mi ha stretto in un grande abbraccio. Qualsiasi cosa accadeva, mi sentivo supportato, al sicuro. Ed è stato molto importante anche viaggiare e vivere per alcuni anni in un contesto multiculturale come quello degli Stati Uniti d’America.
«Di occhi sgranati e volti preoccupati ne ho visti tanti, soprattutto tra i passanti per strada: un intero campionario di facce stupite. E anche un po’ stupide».
Come ti relazioni con la curiosità dei bambini e delle bambine che incontri ogni giorno? I loro sguardi ti hanno mai ferito?
Michele – In passato, dall’adolescenza fino ai miei 25 anni, ho temuto lo sguardo dei bambini, avevo paura della loro curiosità. Cercavo di evitarla. Ma in seguito alla pubblicazione del primo libro e ai primi incontri nelle scuole, tutto si è rovesciato. La vita è davvero imprevedibile e paradossale. Alla soglia dei trent’anni, nell’arco di pochi mesi, ho intuito che il segreto stava proprio in quella sincera curiosità che hanno i bambini. Non dovevo nascondermi da niente. Non dovevo fuggire. Dovevo raccontare, perché a volte escono fuori emozioni che neanche noi sappiamo di custodire. Per questo nel libro scrivo che raccontare è un vero superpotere.
Gli incontri con i bambini li inizio sempre con questa frase: “Chiedetemi tutto, qualsiasi cosa, tirate fuori ogni vostra curiosità! Sul mio mestiere di scrittore, ma anche sulla mia vita personale”. È un approccio di apertura totale che mette di buon umore me e i bambini. Si crea subito un legame. Questo, per me, è molto importante. È una frase che scaccia via ogni possibilità di incomprensione. Con i bambini mi riesce facilmente. Con gli adulti, a volte, è più complicato. Ma l’approccio non cambia.
«Le corsie dei reparti sono come le cipolle crude: a masticarle fanno un sacco di rumore e fanno piangere. Ma con il tempo ho imparato a mangiarle e ad apprezzarle perché sono a strati, proprio come la realtà»
Difficile pensare agli ospedali con questa serenità dopo l’anno appena trascorso. A questo proposito, vuoi lasciare un messaggio ai tuoi lettori e alle tue lettrici?
Michele – Gli ospedali sono luoghi di frontiera. Come tutti i confini hanno un grande impatto sull’animo umano. Ci fanno riscoprire la nostra umanità più profonda e ci fanno interrogare su tanti aspetti della vita. Invito quindi i lettori e le lettrici ad avere rispetto per questi luoghi. Perché possono arricchirci, cambiarci. Non bisogna avere pregiudizi, cercando di evitarli.
L’anno appena trascorso ci dovrebbe far capire che siamo tutti collegati gli uni con gli altri. Se qualcuno non sta bene, ne risente l’intera collettività. Quindi l’intera collettività deve avere cura della salute dei singoli.
Ho voluto raccontare anche questo nel libro. La mia è una storia personale ma anche collettiva. Io ci ho messo la forza di volontà e il coraggio, ma senza tutte le persone che mi hanno aiutato, non ce l’avrei fatta. Soprattutto senza il grande supporto dei miei genitori. Considero la storia un lungo ed emozionante ringraziamento nei loro confronti, che in questi giorni stanno ricevendo tanti messaggi di stima e di vicinanza, a distanza di qualcosa che hanno fatto più di venti anni fa. È incredibile e questo ci insegna che non è mai troppo tardi ringraziare.
Infine, credo che la salute sia un diritto, ma anche un dovere. Sento storie di persone che lottano per la propria salute, ma c’è anche qualcuno che si lascia andare. La cura avviene negli ospedali, con le medicine, ma anche in una parte molto intima di noi stessi, che non va assolutamente trascurata.
Un libro tutto per te
Michele D’Ignazio riesci a trovare parole delicate e appropriate per restituirci la complessità della vita, con autenticità ci racconta gli scarti, le fatiche e le vittorie, le speranze e soprattutto la voglia di abbracciare tutto ciò che esiste in quanto bello di per sé. Il mio segno particolare è un libro che commuove e diverte, incoraggia e scalda, lo consiglio vivamente a tutte le età, come una tisana prima di dormire, sapendo che faremo bei sogni.
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